giovedì 19 novembre 2009

A proposito di integrazione di Ezio Borghesio


Stralcio dell'intervento previsto per la conferenza di Mercoledì 25 Novembre.....Innanzi tutto vorrei ringraziare tutti i presenti per essersi riuniti qui, oggi, a sentir parlare di progetti politici. Io e chi mi sta vicino in questo tavolo di rappresentanza della neo associazione Torino Viva non siamo “politici navigati”, quindi se da una parte le nostre argomentazioni potranno sembrare innovative rispetto al solito modello dialogico meglio conosciuto con il termine “politichese”, dall’altra parte potete star certi che vi parlerò con franchezza e, come si dice, a “cuore aperto”.
Sono un ex residente della zona di Porta Palazzo: ho abitato per cinque anni dall’87 al 92 in corso Giulio Cesare n° 6 ed ho tenuto sfitto quell’alloggio per altri cinque per venderlo poi nel 1996 al “prezzo delle patate”. Perché? Per uno svarione nell’investire in mattoni? Perché sono fallito come commerciante? Perché ho avuto un figlio molto malato da curare oltre oceano? Perché è crollata parte della casa? Perché s’è incendiata? Alluvionata? Terremotata? NO!!!
Ho dovuto disfarmi dell’alloggio che avevo comperato e che avevo abitato con mia moglie perché per me e lei non era più possibile abitare lì era diventato troppo rischioso!
Immagino già cosa sta passando nelle menti di molti dei presenti: eccolo qui, il solito intollerante, il solito provocatore che orbita intorno a movimenti pseudopopolari che fanno del “respingimento” la loro bandiera… Ebbene, sarebbe un errore! Perché mai e poi mai dirò che la colpa della mi disfatta come residente a Porta Palazzo è stata la massiccia presenza di stranieri.
Anzi, in quei cinque anni vissuti vicino ad africani, slavi, cinesi ed oriundi di un po’ ogni parte del mondo, io ho potuto aprire la mente, assaggiare nuovi sapori, sentire nuove melodie, imparare nuovi costumi, nuovi modi di fare e di capirsi vicendevolmente. Sono stati i cinque anni più belli di tutta la mia vita!!! Ma allora perché me ne sono dovuto, e sottolineo dovuto, andare via da casa mia?
Ho dimenticato di dirvi che dal 1982 sono alle dipendenze della Città di Torino nella mansione di vigile urbano; e con questo mi gioco la simpatia di molti… pazienza!
In funzione del luogo di lavoro, io e la mia compagna, anch’ella Vigile di Torino, scegliemmo corso Giulio Cesare n° 6: era a non più di quattro minuti a piedi dal Comando e io e mia moglie siamo sempre stati ostili al dover affrontare ore di trasferta per il “dover lavorare”.
Forse siamo stati un po’ arroganti, pensando di andare ad abitare in una casa che già presentava molti segnali di abbandono e disagio sociale, senza avere dei problemi da risolvere; ma la nostra fiducia nelle Istituzioni, la nostra fiducia in noi stessi, ci ha determinati ad accettare la sfida. Sin dall’inizio la strada non fu solo in salita, ma dovemmo affrontare ostacoli di ogni genere.
Una famiglia italo marocchina con piccola bimba abitava una soffitta malsana della scala B sulla quale insisteva un grave stillicidio di acqua piovana: il proprietario, sebbene avvisato dai suoi inquilini, non aveva mosso un dito: feci la segnalazione alla Divisione competente di piazza San Giovanni con un apposito modulo del Corpo dei VV.UU. e il risultato fu che venne notificata al proprietario l’ordinanza di ripristino delle normali condizioni di abitabilità nonché di pagare un milione di lire entro sessanta giorni come sanzione e, per conoscenza, a me nella qualità di “occupante” la mansarda, cosicché il proprietario fece in fretta a capire chi c’era dietro la segnalazione.
Segnalai alla Questura, ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza molteplici casi di vero e proprio sfruttamento delle risorse economiche di persone straniere, soprattutto clandestine, da parte di un ristretto gruppo di nostri concittadini, proprietari di vere e proprie stamberghe, di tuguri, dove stipavano a decine donne, uomini e bambini e più erano clandestini, meglio era perché così nessuno andava a lamentarsi delle condizioni del loro appartamento. Quanto alle spese condominiali questi signori erano debitori per svariati milioni, tanto che il condominio dovette essere oggetto di più di una nomina dell’amministratore da parte del Giudice Civile di Torino.
Ma il risultato più comico del mio impegno circa questo fenomeno, lo registrai quando, mentre ancora abitavo il mio alloggio al primo piano della scala A di corso Giulio Cesare 6, mi vedetti recapitare da una Volante della Polizia di Stato, a mani, direttamente, una convocazione dall’allora dirigente dell’Ufficio Stranieri della Questura di Torino: io e mia moglie andammo puntuali all’appuntamento e, per dirla tutta, anche con un po’ di apprensione, perché qualche attrito con spacciatori di droga e annessi sia italiani che stranieri, in zona l’avevamo pur avuto. All’arrivo in Questura il dirigente, che davanti a sé aveva un voluminoso dossier zeppo di fogli, ci chiese di esibire la carta d’identità e poi, con il tono di chi la sa lunga, disse: “allora, signori, il discorso che vi faccio è molto breve è facile da capire: voi mi dite a quanti stranieri affittate il vostro alloggio e quanto ci ricavate ogni mese e la porta da cui siete entrati si spalancherà entro pochi minuti e voi tornerete da dove siete venuti, oppure può cominciare per voi una giornata molto lunga…”; esterrefatto, risposi che potevamo farla ancora più breve ed esibivo il mio tesserino di riconoscimento qualificandomi come vigile urbano e dicendo al dirigente che, se quel dossier riguardava corso Giulio Cesare 6, era più che probabile che i nostri nomi li avrebbe trovati nei primissimi fogli e non come possibili loro utenti, ma come segnalatori, collaboratori, eccetera e che, comunque, la convocazione per andare da lui, quel giorno, ci era stata recapitata presso la nostra abitazione nelle nostre stesse mani, quindi era più che evidente che si trattava di uno svarione. In effetti il dottore girò non più di tre pagine ed io potei chiaramente leggere, seppure al contrario, “su segnalazione del vigile urbano Borghesio….”. Ricevemmo le scuse dal funzionario di polizia, ma la situazione nello stabile di corso Giulio Cesare 6 non trovò poi la benché minima diversificazione.
Quanto ai dirigenti del Corpo di appartenenza, stendo davvero un pietoso velo: alcuni si dimostravano sinceramente frustrati dall’impossibilità di trovare soluzioni ai problemi che rappresentavo loro, dall’igiene dei locali all’ordine pubblico; altri, forse impauriti dalle responsabilità, giunsero a dirmi le cose più impensabili, come un vicecomandante, già ufficiale dei Carabinieri, che ebbe il coraggio di affermare che, se continuavo così, rischiavo una incriminazione per “interessi privati in atti d’ufficio”. A dir poco. Pazzesco!
Comunque, per farla breve, nel 1992 dopo lotte infruttuose mi determinai ad abbandonare la mia casa ed andai in affitto in un altro appartamento in un'altra zona di Torino; per i successivi cinque anni pagai mutuo, spese condominiali e tasse per corso Giulio Cesare 6 e affitto, spese condominiali e riscaldamento per corso Grosseto 133. Io e mia moglie, passammo cinque anni, dal 1992 al 1996, senza poter andare in vacanza una sola volta, centellinando le lire come dei poveretti, nonostante due stipendi da allora sottufficiali dei vigili urbani di Torino.
A farmi decidere che dovevo andare via da casa mia furono le pesanti minacce che ricevetti da alcuni personaggi decisamente negativi (italiani) che, alla luce della nuova procedura penale, vigente dal 1989, che permetteva loro, in sede di fine indagini preliminari, di assumere copia delle cosiddette fonti di prova, e capire così chi – io - aveva collaborato le forze dell’ordine in svariate operazioni di polizia in loro danno, ma furono anche le altrettanto pesanti ammissioni di figure apicali delle forze dell’ordine più note a destabilizzarmi nella mia donchisciottesca avventura: mi sentii dire che per loro Porta Palazzo, San Salvario non erano più territorio dello Stato Italiano, erano una “riserva di caccia”: se si lamentavano statisticamente pochi arresti per quel mese di osservazione, loro con un paio di servizi mirati, andavano in “riserva” ed incrementavano subito la produttività. Non solo, mi sentii dire che era molto meglio avere a che fare con un massiccio numero di clandestini dediti alla criminalità, ma tutti in un’area ristretta della Città, piuttosto che averli sparsi per Torino: il risultato sarebbe stato che il malcontento di un paio di quartieri (peraltro, quello di Porta Palazzo già noto negli anni 60 per problemi legati all’immigrazione, allora dal nostro Sud), si sarebbe trasferito a tutta la città!!! Che Logica!
Parlai anche con un Sostituto Procuratore della Repubblica: credo mi possiate accordare la capacità di parlare in un italiano “a prova di stupido”. Ebbene, nonostante mi avesse ricevuto e visto accompagnato oltre che da mia moglie anche da una voluminosa “porta dopo sci” contenente tre dossier colmi di segnalazioni, denunce, articoli di giornale, foto, petizioni, testimonianze, eccetera, dopo una mezz’oretta di mio soliloquio, il magistrato mi liquidò con un laconico va bene, mi faccia due righe e vedrò cosa poter fare.
Io amo Torino, ho partecipato alle scorse olimpiadi e paraolimpiadi invernali con vera gioia: sono stato e sono fiero della mia città e dei suoi valori, della sua medaglia d’oro per la resistenza, al suo già ruolo di capitale; sono orgoglioso della sua università, anche se da studente-lavoratore quale sono stato non ho ricevuto il benché minimo aiuto ed alla fine ho incrementato le fila di chi abbandona gli studi; sono orgoglioso del suo politecnico, dei suoi musei, dei suoi parchi, del suo centro, della sua capacità di stupire, di produrre ricchezza, di accettare chi diverso per orientamento religioso o sessuale o per altro… diversa è una foglia dall’altra dello stesso albero, diversi i suoi frutti, diversi tutti gli uomini del mondo fra loro; diversità dev’essere uguale ad arricchimento, se non sempre e solo del portafogli, di sicuro molto spesso della nostra cultura, della nostra sensibilità.
Il momento nel quale mi sentivo peggio durante la mia permanenza in corso Giulio Cesare 6 era quando sentivo ragazzi stranieri che lavoravano nella vicina area mercatale di piazza della Repubblica e che dicevano che subivano controlli di polizia quasi ogni giorno: un giorno uno mi chiese, ma perché chiedono sempre i documenti a me che lavoro tutto il sabato per 50mila lire e a mio cugino che 50mila se le fa vendendo una dose di cocaina in meno di un minuto, nessuno chiede mai di tirare fuori i documenti? Avrei preferito sprofondare nel sottosuolo.
Cosa potevo dire a quel ragazzo, come potevo giustificare l’apparente e più che concreta incoerenza rappresentata da alcune scelte operative alle quali io stesso e più di una volta ho assistito inerme ed impotente?
Qui lo Stato italiano è perdente: non riesce a trattare diversamente chi entra in Italia per delinquere e chi entra in Italia per sopravvivere e poi per lavorare.
In quei cinque anni fui avvicinato da alcuni partiti politici di allora, ma ebbi sempre la sensazione di voler essere “usato” per accreditare al loro orientamento un plusvalore che in allora non vedevo e che oggi rifiuto di fornire, comunque.
Se mi sono dichiarato disponibile all’impresa politica dell’amico Giorgio Diaferia è perché ho sentito in lui la sincera, genuina, positiva predisposizione alla nostra Città, alle sue peculiarità e, quando parla di ecologia della vita, lo abbraccio idealmente perché dev’essere questa la chiave di lettura di un moderno amministratore di una grande città. Deve voler ogni giorno puntare al bene della sua gente, dei suoi bimbi e dei suoi anziani; passando dalla tutela dell’ambiente che ci circonda per arrivare alla sicurezza delle nostre strade.
Chi mi conosce già sa che non ho mai speso parole a vanvera.
Chi mi ha conosciuto oggi, sappia che alla mia faccia ci tengo e come ho detto NO a tantissime ed allettanti offerte che mi sono pervenute da ogni parte in quel triste lustro 1992-1996 di impiegare la mia casa di corso Giulio Cesare in avventurose, ma criminali attività, allo stesso modo dico NO ad un vecchio modello di fare politica, teso all’imbonire la brava gente e all’accattivarsi la simpatia dei vari potentati locali.
Dico SI a chi, potrebbe fare benissimo altro e senza nemmeno dover tanto tribolare, si mette invece in gioco per il bene della sua Città con delle idee chiare e con un raro proposito: mi candido, ma non mi ricandido!
INCREDIBILE, ma vero!!!

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