sabato 30 luglio 2022

Cosa succede quando piove di M.Panichi

Finalmente a Torino ieri è piovuto e dopo una lunga siccità e si è verificato puntualmente quel misfatto di ogni autunno quando la piovosità abbonda…i proprietari dei cani nell’ultima passeggiata al buio della notte camminano lungo i muri delle case con i loro cani, al riparo di tetti e balconi, con il risultato che le cacche vengono depositate sui marciapiedi vicino ai muri dei condomini o sulle soglie dei negozi. Naturalmente la notte è complice e le feci rimangono lì in bella mostra di sé per la mattina successiva quando portinai, condomini varcano la soglia del portone ed i negozianti tirano su le saracinesche. Così è capitato a me questa mattina: dopo una notte di pioggia, che per un verso è stata benvenuta per rinfrescarci dalla calura, all’apertura del portone mi sono trovato un bel “regalo” sulla soglia senza sapere chi ringraziare. Certo non ho maledetto il cane che non ha fatto altro che soddisfare i suoi bisogni cosi come gli ha suggerito lo sconsiderato ed ignoto proprietario… ma dopo averlo mandato a quel paese ho fatto nel contempo un’altra considerazione: anche le urinazioni di maschi e femmine quando piove avvengono lungo i muri delle case mentre invece con il bel tempo i maschi schizzano anche sulle auto parcheggiate e le femmine la fanno magari in strada! Alcuni condomini e qualche negozio cerca di preservare gli stipiti ed i propri muri dagli schizzi dei maschi accostandovi bottiglie di plastica piene di acqua, non so bene dire però con quale risultato …credo che siano dei dissuasori poco efficaci ma lanciano un messaggio esplicito ai proprietari…almeno quelli intelligenti… che comunque si giustificano affermando che non ci sono strutture previste dal Comune come “zone igieniche” per cani. Questo è vero, esistono “aree cani” in città ma sono fondamentalmente nate per lo sgambamento dei cani e già il Comune fa fatica a fare la normale manutenzione di sfalcio dell’erba ed altro sul quale ora non voglio soffermarmi. Le “zone igieniche” per cani si potrebbero approntare sul modello di altre città straniere ma anche nazionali come in alcuni centri balneari delle nostre riviere, ma mancano le risorse – temo - per cui ci dobbiamo rassegnare alla fecalizzazione dei marciapiedi, degli arenili dei giardini, dei prati del Valentino e di altri parchi pubblici dove ben spesso vediamo gente stesa sull’erba a prendere il sole! La logica del mio pensiero parte dalla fecalizzazione ed urinizzazione canina della città senza dimenticare però la popolazione felina costituita in “colonie”, talune censite dal Comune e gestite da associazioni animaliste che si preoccupano fondamentalmente di dar loro cibo, acqua e di procedere con le sterilizzazioni. Se poi le “gattare” si occupano anche delle lettiere igieniche e delle profilassi delle malattie allora vuol dire che la colonia è ben gestita. Ma la domanda è quante sono le colonie feline gestite bene in città? Quanti sono i gatti che una volta venivano chiamati “randagi” e che ora invece si definiscono “in libertà”? Quanti sono i gatti di proprietà che conducono una vita semi randagia e che esplorano il territorio di giorno per tornare a casa a sera per la cena e la notte? Voci di corridoio mi riferiscono che molti proprietari di villette non gradiscono la presenza dei gatti dei vicini nei loro giardini e li scoraggiano dal liberarsi di urina e feci con getti d’acqua a pressione od addirittura con la fionda. Mi è capitato anche di vedere dei proiettili di flobert rinvenuti occasionalmente nelle radiografie eseguite per altre ragioni. Ma torniamo al filo conduttore delle deiezioni lasciate sul territorio non solo da cani e gatti ma anche dai volatili: piccioni, storni, gabbiani, corvidi, ed altri selvatici che si sono urbanizzati (gli scoiattoli per esempio) e non dimentichiamo che la città si estende anche alle nostre magnifiche colline con tutte le specie selvatiche che vi trovano rifugio …compresi i cinghiali. Poi pare che sia cospicua la presenza di topi e ratti che di notte scorrazzano anche in Crocetta e sotto i portici a Porta Nuova. Se nessuno di voi ne ha mai visti, io si. A Torino ci sono circa 80 mila cani censiti più i clandestini la domanda è quante tonnellate di deiezioni solide vengono prodotte in un anno e quante non vengono raccolte dai proprietari? Lo stesso dicasi per i gatti e per tutti gli altri animali di cui ho fatto cenno ma io non sono in grado e non ho qualifiche istituzionali per poter rispondere con cognizione di causa. Sono solo un Medico veterinario che non vuole calpestare inavvertitamente le cacche lasciate sui marciapiedi e la mia cultura professionale mi costringe a richiamare l’attenzione sul fatto che attraverso le deiezioni solide e liquide dei carnivori ed il guano prodotto dai volatili può essere fonte di malattie anche per l’uomo. Senza voler creare allarmismo voglio però richiamare l’attenzione sull’importanza dell’igiene urbana e mi astengo volutamente dall’elencare tutte quelle patologie che si possono trasmettere all’uomo, alcune delle quali sono definibili Zoonosi, estremamente pericolose per la sanità pubblica. Generalmente faccio molta attenzione a dove metto i piedi ma confesso che qualche volta mi sono distratto ed ho smoccolato con grande disappunto. Portinaie, negozianti e tutti i cittadini che sono attenti al problema hanno tutta la mia solidarietà. Che fare? Educare e sensibilizzare di più i proprietari di cani ed invitare le istituzioni comunali e sanitarie a prestare maggiore attenzione nel governo delle popolazioni animali sinantrope in caso di esuberi. Alcuni commerciati torinesi pensano che un incremento educativo alla raccolta delle feci canine potrebbe passare anche attraverso la dispensazione gratuita degli attuali sacchettini di plastica sponsorizzati e con la pubblicità di qualche ditta produttrice di alimenti preconfezionati per cani.

Vaiolo delle scimmie, cresce emergenza e ora 1 italiano su 3 lo teme da Sanità Informazione di Valentina Arcovio

L’Oms ha dichiarato che il vaiolo delle scimmie è un’emergenza sanitaria globale. Sono stati registrati 17mila casi in 70 paesi. l’Italia è fra i 10 paesi più colpiti e forse per questo 1 italiano su 3 ammette di avere paura di Valentina Arcovio Vaiolo delle scimmie, cresce emergenza e ora 1 italiano su 3 lo teme Pochi giorni fa l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato che il vaiolo delle scimmie è un’emergenza sanitaria globale. In effetti i numeri iniziano a fare paura: 17mila persone colpite in 74 Paesi. E in un solo giorno (lo scorso 24 luglio) 1700 nuove diagnosi. Non stupisce che oggi un italiano su tre teme il vaiolo, secondo un sondaggio SWG contenuto nella nuova edizione di «Radar». In effetti, con 407 casi registrati l’Italua è fra i primi 10 paesi con più casi di vaiolo delle scimmie. Milano è la città italiana con il maggior numero di casi di vaiolo delle scimmie Il Ministero della salute con apposita ordinanza ha già predisposto, insieme alle Regioni e Province Autonome, le modalità di segnalazione dei singoli casi di vaiolo delle scimmie. «La situazione è sotto costante monitoraggio ma non si ritiene debba destare particolari allarmismi», dichiara il direttore generale della prevenzione del Ministero della Salute, Gianni Rezza. Dei 407 casi italiani, circa 200 sarebbero stati registrati a Milano, che diventa quindi la città con il più alto numero di infezioni. I più colpiti dal vaiolo delle scimmie sono gli uomini tra i 20 e i 40 anni d’età Nella quasi totalità dei casi il vaiolo delle scimmie ha colpito uomini. «I dati epidemiologici – sostiene Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova – dicono che i casi riguardano prioritariamente una popolazione abbastanza ristretta: maschi, tra i 20 e i 40 anni, che si sono contagiati preferenzialmente per via sessuale o per contatto diretto». Gli esperti invitano alla vaccinazione delle persone a rischio In considerazione della crescita dell’emergenza, molti esperti invitano ad adottare misure, tra cui la vaccinazione e lo screening, alle fasce di popolazione considerate a rischio. «Sarebbe il caso di partire ora – suggerisce Bassetti – con un’importante campagna vaccinale, indirizzata a giovani maschi, altrimenti a settembre rischiamo di avere decine di migliaia di casi diagnosticati e altrettanti sotto traccia». Il virologo Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina molecolare presso l’Università degli studi di Padova, auspica una decisione delle autorità sanitarie che consenta l’immunizzazione delle comunità più colpite dal Monkeypox. «E’ evidente che la diffusione della malattia, che non accenna al momento a diminuire, è ormai entrata – spiega – in un circuito comportamentale ben definito. E quindi forse bisognerà indurre determinate persone a vaccinarsi contro il vaiolo“. Dalla Commissione europea ok a estensione del vaccino del vaiolo umano Nel frattempo la Commissione europea ha approvato l’estensione del vaccino Imvanex del gruppo farmaceutico Bavarian Nordic contro la diffusione del vaiolo delle scimmie. Il via libera da Bruxelles segue quello del regolatore europeo, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema), che lo scorso venerdì aveva dato il suo consenso all’estensione al vaiolo delle scimmie del vaccino Imvanex, già autorizzato dal 2013 nell’Unione Europea contro il vaiolo umano. Il vaccino Imvanex è commercializzato come Jynneos negli Stati Uniti, dove è stato autorizzato contro il vaiolo delle scimmie dal 2019. Questo lo rende l’unico vaccino autorizzato per la prevenzione della malattia

martedì 26 luglio 2022

Riformare i candidati alle prossime elezioni non solo la proposta politica

Si legge sempre sui giornali, sui social e si ascolta e vedono trasmissioni che parlano della nuova proposta politica che dovrebbe farsi spazio tra l'opinione pubblica, sempre più disgustata dalla politica e dai politici che la rappresentano. Pochi sono quelli che arrivano ad occupare un seggio per meriti propri e non per spinte di partito, amicizie e disponibilità economiche. Alcuni rappresentano associazioni nazionali di categoria, sindacati ecc. La così tanto decantata " COMPETENZA" passa e di gran lunga in secondo piano rispetto all'ubbidienza al leader ed alle linee di partito, oltre che ad aver fatto un percorso dai piani bassi che abbia in qualche modo sancito la fedeltà all'idea ed al leader. Fare politica dentro il Parlamento è un grande privilegio che va ricompensato con lavoro, abnegazione,sacrifici ma anche inventiva, entusiasmo, proposte concrete. Vedo molto poco di tutto questo. Anche gli spazi che la politica parlamentare offre ai collaboratori sono molto ambiti ma poi il più delle volte gli uffici diventano "filtri" verso i cittadini che avanzano proposte, richieste legittime. In poche parole l'Italia ha bisogno non di una Casta, ma di politici e di politica che risponda ai reali bisogni nazionali ed internazionali del Paese. Scegliamo i migliori sotto tanti punti di vista ed il nostro paese risorgerà dalle macerie. Draghi è stato certamente l'esempio ma per fortuna non c'è solo lui. Immettiamo tanti nuovi politici, giovani ed anche meno giovani ma con esperienza e competenza.L'idea del M5S di permettere 2 mandati Parlamentari è corretta, ora però liberiamo i posti.Si dice siamo tutti utili e nessuno o molto pochi indispensabili.

martedì 19 luglio 2022

EMERGENZA CINGHIALI di Marzio Panichi

Sulla “Stampa” di venerdì 15 Luglio compare questo articolo allarmante. Leggiamo i numeri e riflettiamo insieme qui di seguito. Stendiamo un velo pietoso sulle responsabilità di una situazione come questa: le Regioni fanno scaricabarile sullo Stato, i cacciatori sulle Associazioni protezioniste /ambientaliste e viceversa. La storia giornalistica della controversia affonda le radici in anni di confronto e di scontro che comunque non hanno portato a nessun risultato positivo. Ci sono cinghiali veri e propri, ci sono maiali “cinghialati” e cinghiali “maialati”: intendo dire le due specie si incrociano vicendevolmente ad aumentare sproporzionatamente il numero delle loro presenze nel territorio nazionale, con disparità di situazioni, ma sempre comunque emergenziali anche là dove il numero non è ancora diventato un “sovrannumero”. Quando delle specie selvatiche raggiungono il “sovrannumero” il problema è tale perché bisogna trovare delle soluzioni quasi sempre di “abbattimento” e quando si parla di ciò si parla di prolungamento dei periodi di caccia, di catture forzate, di abbattimenti selettivi, di fucilate sempre e comunque. Ma il problema del sovrannumero e del suo governo non riguarda solo i cinghiali ma anche i corvidi per esempio, i cervidi, le nutrie ecc. e per ogni specie ovviamente i problemi di gestione, cattura o fucilazione cambiano. Per fare un esempio l’Istituto nazionale per la selvaggina anni fa, suggeriva nelle proprie “Raccomandazioni” che i corvidi catturati venissero storditi sbattendo violentemente il capo su una superficie rigida prima di torcergli il collo. Sempre come esempio il sovrannumero dei cervidi nel nostro Parco della Mandria veniva gestito nel passato mettendo all’asta l’abbattimento selettivo di un capo prestabilito al prezzo di un milione di lire con il diritto di acquisirne la spoglia con il rispettivo trofeo palco sparando però un colpo solo che doveva avere una idonea composizione metallica così come le caratteristiche dell’arma impiegata. In caso di mancato bersaglio il diritto era perso mentre invece nel caso di un ferimento non mortale il guardacaccia di accompagno doveva inseguire l’animale per finirlo. Non insisto nell’esemplificazione del passato augurandomi che certi sistemi di governo dei “sovrannumeri” siano cambiati. Pare infatti che recentemente la progettazione incruenta di un piano di contenimento delle nutrie, a cui ha partecipato il Garante per i diritti animali della Regione Piemonte insieme al “Centro animali non convenzionali” (Canc) dell’Università di Torino e ai rappresentanti della Città Metropolitana di Torino, abbia preso il via e che siano iniziate le operazioni nell’ambito dell’area dei fiumi di Torino. Il progetto prevede la cattura con gabbie-trappola dei roditori, l’anestesia dell’animale e il successivo intervento volto a impedirne la capacità riproduttiva. Ma per tornare al problema dei cinghiali non solo in Italia ma anche nella nostra Regione sempre su “La Stampa” leggiamo che il problema si è fatto acuto e che la siccità spinge i branchi collinari fin al centro città per ricercare cibo ed acqua. A chi mi legge voglio riferire un’esperienza personale vissuta con grande intensità. Non so dire l’emozione che ho provato nel vedermi attraversare la strada di notte da una massa enorme di più di un metro e mezzo di lunghezza e del peso stimabile almeno 100-120 kg e che sfiora la mia auto mentre percorro una strada provinciale delle nostre ...freno ovviamente d’improvviso ma velocità ridotta e riesco ad evitare la collisione con uno sbando sulla corsia opposta dove, per fortuna, non c’era nessuno. Questo mi accadeva circa un paio di mesi fa e mi ritengo fortunatissimo nel non aver incocciato un tale bestione …si sarebbe fatto male lui ma anche la mia auto. Io me la sono cavata con un grande spavento ma ho preso personalmente coscienza della gravità del problema così come rimane dimostrato dalle cronache giornalistiche. Che dire e che fare? Io da Medico veterinario, da sempre schierato dalla parte degli animali ma non sempre con gli animalisti, sono in imbarazzo perché un sovrannumero così elevato di cinghiali (o similari) che nel volgere di due anni si è quadruplicato (senza contare tutti quei soggetti sfuggiti ai censimenti) richiede una misura severa di riduzione del numero…ma come? Non riesco a pensare ad altro se non all’abbattimento come misura urgente perché fra l’altro in certe zone si è diffusa la peste suina che - veramente una malattia “pestifera” - se prende piede in allevamenti suini industriali dove i numeri dei soggetti sono alle stelle in stalle di poco spazio. Io sono un sanitario cosciente di quanto sia difficile gestire un’epidemia virale e di quanti danni economici potrebbe portare al nostro Paese, produttore di prosciutti pregiati ed esportati in tutto il mondo. Mi dispiace dirlo ma temo che gli abbattimenti a fucilate siano l’unico sistema per contrastare il fenomeno in tempi brevi mentre peraltro prendo in seria considerazione il Bando dell’”Ufficio DG Sanità animale e Farmaci veterinari” per la selezione di un progetto di sperimentazione per l’uso per via orale del prodotto “Gonacon” nei cinghiali. Data della pubblicazione 7 Giugno 2022 con scadenza al 6 Luglio 2022. Nel bando si legge che “Destinatari del bando sono soggetti pubblici e privati che posseggano le competenze e l’expertise necessari per elaborare e realizzare un progetto per la sperimentazione dell’impiego del prodotto GonaCon da proporre al Ministero della salute ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e dell’attribuzione delle risorse stanziate. A fronte del limite di spesa previsto dall’articolo 1, comma 705, della Legge di Bilancio per l’anno 2022 pari a 500.000 euro, ai proponenti dei progetti selezionati al termine della procedura di cui al presente bando sarà erogato un finanziamento pari ad un massimo di 250.000 euro ciascuno. La proposta progettuale dovrà essere idonea a perseguire l’obiettivo di cui la legge n. 234 del 30 dicembre 2021 - Legge di Bilancio per l’anno 2022- articolo 1, comma 705 e cioè “contrastare e prevenire con efficacia la proliferazione di alcune specie di fauna”. Il progetto, nello specifico, dovrà prevedere: la sperimentazione dell’impiego per via orale del prodotto GonaCon nei cinghiali selvatici di durata non superiore a 24 mesi. L’indicazione di modalità operative per la somministrazione del GonaCon per via orale alle popolazioni di cinghiali selvatici. Una relazione economica che indichi il budget complessivo ed il dettaglio dei costi…” La Commissione tecnico-scientifica è composta da illustri Professori universitari, dell’ISS, del Consiglio superiore di sanità e del DGSAF a totale garanzia della valenza scientifica del progetto. Pregevole iniziativa che parte dalla Ricerca scientifica e che apre uno spazio incruento per la gestione del problema nel futuro ma l’SOS è del momento ed i frutti di una tale sperimentazione si vedranno solo nel tempo.

giovedì 14 luglio 2022

Leggiamo con grande soddisfazione su “La Stampa “ del 12 Luglio questo articolo e prendendo atto del “Rinascimento” del Parco facciamo un po' di storia dell’ex Zoo.

Ci sono voluti molti anni per fare rinascere il Parco Michelotti dopo la chiusura dello Zoo avvenuta nel 1987, primo Zoo a chiudere i battenti in Italia. Esisteva dal 1955 su un territorio lungo e stretto su circa 30.000 metri quadri fra il C. Casale ed l fiume Po, dalla diga fin quasi a C, Gabetti. Ospitava pachidermi, giraffe, grossi felini, scimmie, pinguini, uccelli, rettili, pesci, ungulati ecc. tutti di proprietà di una Ditta importatrice e venditrice di animali esotici e selvatici che venivano esposti al pubblico con il pagamento di un biglietto di ingresso. Ospitati in recinti aperti con possibilità di ricovero al chiuso per la notte in strutture murarie non sempre conformi alle migliori condizioni di vita. Dico questo perché esporre e mantenere così tante specie di animali in una lunga ma stretta striscia di territorio già di per sé appare insufficiente per garantire il soddisfacimento delle principali esigenze etologiche di ciascun soggetto. E’ anche da considerare che il limite rappresentato dal Corso Casale, arteria di grande scorrimento del traffico urbano, esponeva gli animali ai disturbi tipici del rumore e dell’ inquinamento atmosferico, senza dimenticare di sottolineare che di notte il riposo poteva essere turbato dal passaggio non solo di auto e moto a forte velocità ma anche di ambulanze a sirene spiegate, comprese le pattuglie delle forze dell’ordine. Ma detto ciò e solo per fare qualche esempio grossolano le scimmie di piccola mole erano allocate in un grosso vascone di cemento arredato con qualche tronco secco ma senza rete grigliata di protezione che impedisse al pubblico di buttare cibi di ogni tipo (idonei e no) come dolciumi, pezzi di pizza , rifiuti ecc. Un’altra collocazione in vascone di cemento con un piccolo lago artificiale era quella dell’orso polare che manifestava palesemente disagio comportamentale girando in tondo ossessivamente ondulando mestamente il testone e mordendo o graffiando un copertone di ruota di camion posto come arricchimento ambientale e passatempo stereotipato. E che dire del periodo estivo quando la calura incombe con nubi di smog sulla città con magari 35 gradi o più al sole! I pinguini e le foche non stavano meglio, con spazio ristretto ed un laghetto troppo piccolo per la comunità presente. Anche l’ippopotamo non era collocato al meglio come spazio e come vasca dove immergersi ma senza potersi muovere agevolmente e nuotare. Tutti sanno che quell’animale sta spesso a lungo con le fauci aperte dove il pubblico ed i bambini gettavano “di ogni” fino a quando una bimba gettò una bambola di plastica che provocò un’ostruzione intestinale e causò la morte del soggetto, diagnosticata all’autopsia! Immaginiamo i fabbisogni etologici delle giraffe e dei grossi pachidermi come i rinoceronti o gli elefanti costretti in una striscia profonda poco più di cento metri. I grossi felini racchiusi in gabbie metalliche con profondi sentieri sul terreno segnati dai comportamenti stereotipati dell’andirivieni o pigramente abbandonati in sonni letargici indotti dalla noia. Che dire poi ancora della stabulazione di antilopi o gazzelle in vicinanza alle gabbie di leoni e tigri… dopo un po' di tempo ci si abitua a tutto anche a convivere con i propri predatori! Meno male che c’erano le sbarre di cui quegli ungulati ne avevano imparato l’importanza. Questi e molti altri casi che non riporto per brevità venivano propinati al pubblico e spacciati alle scolaresche come esempi di cultura zoologica e di arricchimento biologico. Le funzioni riconoscibili agli zoo sono la conservazione delle specie in via di estinzione, l’arricchimento della cultura zoologica e biologica, la tutela della biodiversità, la ricerca ecc. non certo la sterile esposizione di animali infelici com’era al Michelotti. Per fortuna nacque un “Comitato cittadino per la chiusura dello zoo di Torino ” nel 1987 per iniziativa di persone sensibili alla tutela del benessere degli animali, costituito da personaggi di spicco della società torinese. Imprenditori, esponenti della cultura, zoofili, filosofi, politici, ed amministratori locali, Professori universitari, Veterinari ecc. che coagularono i loro intenti dopo essersi legalmente costituiti con atto notarile che prevedeva non solo la chiusura della struttura ma la ricollocazione delle diverse specie in migliori condizioni di vita. Il Comitato esordi con dibattiti e proposizioni alla cittadinanza volte ad evidenziare che il solo scopo dello Zoo Michelotti era unicamente un business per la Ditta che affittava dal Comune l’area espositiva. I media di allora, giornali ed emittenti televisive locali intervennero per dare risonanza all’iniziativa e si riuscì a non far rinnovare il contratto d’affitto dell’area comunale con il risultato che la Ditta dovette smantellare lo spettacolo e provvedere alla ricollocazione dei suoi animali in altre sedi con l’ausilio del Comitato stesso e delle Associazioni animaliste di risonanza nazionale .La più parte degli animali trovò collocazioni migliori, pochi altri rimasero in loco a lungo prima di trovare privati od altri Zoo esteri interessati alle diverse specie. Ricordo la difficoltà di organizzare il trasporto della giraffa Romeo fino allo Zoo di Lubiana e quello di una tigre da inviare addirittura in India presso un centro specializzato per la riabilitazione alla vita selvaggia. Non tutta la popolazione torinese condivise la decisione zoofila di chiudere lo spettacolo che veniva offerto a genitori - con poca fantasia e scarso senso critico - la possibilità di ingannare il tempo libero domenicale dei bambini, tanto è vero che, a cancelli chiusi, comparve un cartello con la scritta “Donna Allegra ..bambino triste” ( ndr. Donna Allegra Agnelli era il Presidente del Comitato). I dibattiti sui pro e contro la chiusura della struttura tennero la cresta dell’attenzione giornalistica torinese per molto tempo ma alla fine il rinnovo della concessione comunale non ci fu, lo Zoo fu chiuso definitivamente e nel tempo si avviò la riqualificazione del territorio con la proposizione e la messa in atto di nuovi progetti per restituire il Parco ai cittadini. Molte furono le iniziative intraprese successivamente per la riutilizzazione dell’area ed eccone alcune: Frutto di un’iniziativa nata dalla collaborazione tra l’associazione culturale Border Gate e la cooperativa Agriforest, Border Land offriva il proprio spazio per ospitare e contribuire allo svolgimento di attività associative e di cooperazione. L’ampio spazio all’aperto poteva essere il luogo ideale per l’organizzazione di eventi di ogni genere ma era in particolar modo pensato per accogliere, soprattutto nel periodo estivo, enti ed associazioni alla ricerca del posto giusto dove svolgere in autonomia le proprie attività. I padiglioni che ospitavano gli animali dell'ex zoo di Torino per anni ospitarono la mostra scientifico-interattiva Experimenta. Un progetto nato nel 1985 come iniziativa pilota dell'Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte, che aveva come obiettivo la promozione e diffusione della cultura scientifica in modo ludico e coinvolgente. Altre iniziative ancora furono i Murales sulla casa della tigre e non solo, un ponte tibetano, esposizioni di vario tipo, mercatini di libri e molto altro: sempre deludenti e non durevoli. A distanza di 30 anni circa, finalmente l’area è stata restituita ai cittadini, dopo anni di degrado, con aiuole, panchine e nuove luci. Per chi fosse interessato un’ampia bibliografia dei fatti è disponibile negli archivi de “La Stampa”. M.Panichi

martedì 12 luglio 2022

Fonte M.D. Doctor "Inaccettabile sfruttare i giovani medici come risorse a scapito della loro carriera"

Le Usca sono ufficialmente terminate il 30 giugno 2022, come previsto dalla proroga della legge di bilancio, eppure diverse Regioni hanno deciso di prorogare il servizio. Certo, l’impennata dei contagi potrebbe sembrare una giusta motivazione, ma le condizioni dei nuovi contratti hanno subito fatto scattare l’allarme: non solo in alcune regioni sono state proposte retribuzione dimezzata a fronte di un raddoppio delle mansioni (monitoraggio pazienti COVID, ormai pienamente gestiti dai Medici di Medicina Generale, RSA, Pronto Soccorsi, vaccini e altri servizi distrettuali, ma anche tamponi e altri compiti infermieristici), ma il fatto più grave riguarderebbe l’inquadramento contrattuale proposto, che risulta ormai incompatibile con l’iscrizione al Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale. “La compatibilità del servizio Usca era garantita ai Medici iscritti al Corso dall’articolo 4-bis del DL Cura Italia, prorogato dalla Legge di Bilancio fino al 30 giugno 2022. Con questa normativa veniva infatti derogata l’incompatibilità prevista dalla legge 368/99, che regolamenta a livello nazionale il nostro Corso di Formazione Specifica” commenta la Segretaria Nazionale di Fimmg Formazione, Erika Schembri, che specifica come “essendo decaduta tale deroga, e non essendo le Usca regolamentate nell’ACN della Medicina Generale, risultano dal 1° luglio assolutamente incompatibili per i Medici in Formazione Specifica. Eppure, stiamo ricevendo centinaia di segnalazioni in tutta Italia da colleghi a cui è stato proposto dalle aziende sanitarie di firmare nuovi contratti al di fuori dell’ambito convenzionale, l’unico compatibile per legge”. “È inaccettabile che le Regioni arrivino al punto di proporre un incarico incompatibile ai giovani colleghi in formazione pur di coprire le loro carenze nella programmazione e nell’organizzazione del servizio, andando ad aggravare ulteriormente la situazione delle attività ordinarie già in sofferenza. Se i colleghi accettassero, rischierebbero in futuro di avere verifiche con la concreta possibilità di vedersi annullato il titolo specialistico acquisito con fatica e rinunce.” Fimmg Formazione prosegue quindi evidenziando la soluzione che metterebbe al riparo i colleghi dal rischio di incompatibilità: “È il momento di pensare al di là di proroghe temporanee e normative emergenziali; serve un confronto immediato per proteggere i colleghi e al tempo stesso garantire l’assistenza sanitaria territoriale. L’ ACN prevede la definizione di attività orarie di Assistenza Primaria anche nella fascia diurna feriale; espletare tale funzione all’interno di questo inquadramento contrattuale permetterebbe di superare l’incompatibilità, garantendo le giuste tutele ai colleghi che potrebbero continuare a lavorare sul territorio con un’attività sinergica e complementare ai Medici di Medicina Generale. È impensabile però continuare a finanziare nuovi servizi attingendo esclusivamente alle esigue risorse del Fondo della Medicina Generale: la legge di bilancio prevede quasi 50 milioni per i medici dipendenti delle cosiddette UCA per il 2022, e più di 71 milioni all’anno fino al 2026.” Ultima modifica: 12 Luglio 2022

lunedì 11 luglio 2022

Durante la pandemia abbiamo ridotto le emissioni di CO2 come mai prima, ma sono già risalite

La combustione delle fonti fossili e la produzione di cemento sono le due attività umane che contribuiscono maggiormente all’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Nel 2019 l’emissione globale di biossido di carbonio dovuta a questi processi aveva raggiunto 35 332 milioni di tonnellate, il massimo mai toccato fino ad allora. La pandemia ha causato una frenata mai vista prima: nel 2020 abbiamo emesso globalmente 2 232 milioni di tonnellate in meno, cioè una riduzione del 6,3% rispetto all’anno precedente. Per confronto, la crisi finanziaria del 2008-2009 aveva causato una riduzione quasi sei volte inferiore a questa (380 milioni di tonnellate evitate), mentre la seconda guerra mondiale, per quello che è stato possibile ricostruire, ci aveva fatto risparmiare circa un terzo di quanto ci ha fatto risparmiare la pandemia (840 milioni di tonnellate). Nel 2021 però le emissioni sono tornate a salire. Rispetto al 2020 abbiamo emesso il 4,8% in più e solo l’1% in meno rispetto al 2019. Troppo poco considerando che per rispettare l’Accordo di Parigi dovremmo ridurre ogni anno le emissioni del 4%, per contenere l’aumento della temperatura entro 2,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Se poi volessimo ambire a limitare il riscaldamento globale entro 1,5°C, allora la riduzione delle emissioni di CO2 dovrebbe essere dell’8% all’anno. Queste stime arrivano dal Carbon Monitor, un ambizioso progetto nato due anni fa che ha sviluppato un database e un metodo per stimare in tempo quasi reale le emissioni giornaliere in sei diversi settori (generazione di energia, industria, trasporto su terra, trasporto aereo nazionale, trasporto aereo internazionale e uso residenziale) per 12 paesi o regioni (Brasile, Cina, EU27, Regno Unito, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Russia, Spagna, Stati Uniti) e a livello globale. Il progetto, coordinato da Zhu Liu della Tsinghua University di Pechino, ha costruito un database che parte dal 2019 e arriva, nell’ultimo aggiornamento, al 31 maggio 2022. Normalmente i dati sulle emissioni di CO2 sono annuali e arrivano con molti mesi di ritardo rispetto al periodo di riferimento. «I dati raccolti e presentati in questo articolo sono estremamente preziosi e forniscono una visione unica dell'evoluzione delle emissioni nel 2020», ha dichiarato Jan Brusselaers, economista ambientale della Vrije Universiteit Amsterdam nei Paesi Bassi. Continua a leggere su Scienza in rete

lunedì 4 luglio 2022

La mobilità dolce a Torino di Marzio Panichi

Questo è il problema. Sia pur con la mia incompetenza, non credo che sia sufficiente ridurre la velocità delle auto per abbassare il numero eccessivo e preoccupante di incidenti e ricoveri in ospedale di ciclisti o di coloro che cavalcano monopattini. Abbiamo letto che la città di Torino è al top come percentuale annua di incidenti alle due ruote e qualcuno vorrebbe attribuire la maggiore responsabilità agli automobilisti inosservanti delle regole della circolazione in città. Sicuramente ci sono svariati esempi di indisciplina automobilistica ma sono innumerevoli e documentabili le infrazioni al Codice della strada da parte delle due ruote. Inutile qui riportarne l’semplificazione perché è sotto l’occhio di tutti i frequentatori delle strade cittadine, di giorno e di notte. Senza voler difendere in maniera corporativa gli automobilisti di cui faccio parte personalmente voglio fare qualche riflessione con chi mi legge e dire che i fruitori delle due ruote ci salgono sopra senza aver frequentato nessun corso istruttivo sulle regole della circolazione urbana. Basta aver imparato ad andare in bicicletta o ancor di più a maneggiare un marchingegno elettrico con due piccole ruote, che può raggiungere però velocità superiori ai 50 Km/ora. Non ci sono obblighi di dover conseguire una sorta di patentino, né di assicurazione RC, né di Dispositivi di protezione come il casco od un giubbotto fosforescenti di notte, non sono previsti specchietti retrovisori, segnalatori di direzione od acustici… e così via. In buona sostanza le due ruote non hanno limiti di età e non brillano nell’essere ligi al codice stradale. In più non hanno targhe che possano identificare l’infrazione da parte delle telecamere come accade invece per auto e moto. Non conosco le statistiche delle sanzioni automobilistiche rispetto a quelle non comminate a ciclisti, monopattinisti ma anche pedoni…temo però che la deterrenza nei confronti di queste tre ultime categorie di utenti delle nostre strade cittadine sia molto scarsa, forse occasionale o molto fortunosa. Solo un Vigile Urbano ciclista, magari dotato di un mezzo a due ruote altrettanto veloce ed agile, potrebbe forse pensare ad un inseguimento per contestare una violazione stradale di un indisciplinato. Io non ho mai incontrato nella nostra città pattuglie di giovani Vigili atletici e dotati di mezzi veloci per controllare e contrastare l’indisciplina dilagante delle due ruote, che se imprudenti sono comunque utenti molto fragili nel traffico cittadino. La mobilità mista a Torino lascia perplesso non solo il sottoscritto e molti altri come me ma lascia perplesso anche il referente della Commissione comunale dei trasporti che ha rilasciato intervista a “La Stampa”. Mobilità dolce si! ma anche sicurezza: la giusta filosofia da seguire è, a parer mio, la formazione degli utenti delle due ruote ma anche la deterrenza. Gli automobilisti sono già stati formati prima di conseguire la patente e costantemente nel tempo devono dimostrare prerogative psico fisiche di idoneità per il rinnovo del documento. Io spero di non avere mai la disgrazia di incocciare un ciclista indisciplinato che magari mi svolta in contromano perché, a parte l’emozione della disgrazia, di sicuro andrei incontro ad un sacco di grane assicurative e non, di verbali, di avvocati, di perdite di tempo, di sonno e di malessere psichico per l’accadimento. Io ci metterò tutta l’attenzione possibile nel prevedere le mosse delle due ruote e nell’aprire la porta dell’auto quando mi fermo ma mi auguro che anche le istituzioni facciano la loro parte riprogettando la mobilità.

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