domenica 20 giugno 2010

La Stampa cronaca 20/06/2010 - L'INDAGINE SUL VOTO ELETTORALE Scandalo firme false: dai parenti di Giovine le prime conferme

Michele Giovine
Ammissioni davanti al pm: «Non sapevo di essere stato candidato»
ALBERTO GAINO La Stampa
TORINO

Gurro, Valle Cannobina, interno della provincia di Verbania. In altre parole: 3 ore buone d’auto da Torino. Là Michele Giovine, consigliere comunale di minoranza, e in quanto tale pubblico ufficiale, avrebbe dovuto autenticare le firme dei candidati della sua lista «Pensionati per Cota». Così prescrive la legge se si vuole fare tutto in famiglia: oltre alla lista di parenti, anche la certificazione. La Procura della Repubblica di Torino gli contesta, com’è ormai noto, di aver falsificato tanto le firme (se apposte da lui o da altri non ha importanza) quanto l’autentica. E Gurro, in punta al Piemonte, a pochi chilometri dalla Svizzera, è per la prima volta al centro di un caso giudiziario con chiare valenze politiche. Non fosse altro perché il nocciolo duro di zie e zii del sempre giovane segretario regionale del partito dei pensionati pro Cota - in precedenza erano «consumatori» per Ghigo - ha dichiarato di essersi spinto fin lassù, ma è stato smentito dagli accertamenti della polizia giudiziaria.Il procuratore aggiunto Andrea Beconi è un signore gentile ma si guarda bene dal fornire conferme alle indiscrezioni. Si limita a un laconico «abbiamo svolto accertamenti tecnici». Però non ci vuol molto a capire che, se la famiglia ha fatto quadrato da ogni angolo d’Italia, più d’un suo componente - sentito e risentito dal pm Patrizia Caputo - ha vacillato di fronte alle verifiche sulla propria trasferta in Valle Cannobina: giorno, tipo di viaggio, circostanze.
Per la verità, nemmeno a Miasino, paese nei pressi del lago d’Orta e più accessibile - dove è consigliere comunale e pubblico ufficiale Carlo Giovine, il padre di Michele - sarebbero stati avvistati i candidati dirottati per l’autenticazione della firma. Il «fai da te» del consigliere regionale al suo secondo mandato avrebbe incluso la famiglia, a condizione che nessuno si scomodasse. A eccezione di uno che, a Palazzo di Giustizia, ha persino negato di essere a conoscenza di essere stato candidato alle elezioni regionali.Alla seconda tornata di interrogatori c’è chi si è attestato sulla tesi di ripiego: «Non sono andato dove risulta che ho firmato, ma ho firmato in ogni caso, da un’altra parte». Qui interviene la consulenza grafica che smentirebbe anche il nocciolo duro della parentela candidata.Nel 2005, precedenti elezioni regionali, Michele Giovine aveva subìto un’indagine penale dello stesso genere. Fu salvato come tanti altri da una leggina ad hoc che ridusse a contravvenzione il reato - punibile sino a 5 anni di carcere - della speciale norma elettorale. Prima che la Corte Costituzionale la rielevasse al rango di «delitto», Giovine incorse nella buona sorte di vedersi cancellare il reato per prescrizione dei termini.Per un uomo politico non è il massimo vedersi assolvere così, ma di questi tempi capita che non si colga la differenza con un’assoluzione piena.

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