giovedì 3 settembre 2009

Ad essere giovani in una grande città, come ci si sente? di Ezio Borghesio.

Ad essere giovani in una grande città, come ci si sente? Quali sono le problematiche più ricorrenti? Quali sono i disagi più incombenti? Quali sono le dinamiche relazionali più caratterizzanti le persone minori, i bimbi e gli adolescenti che vivono a Torino? Quali sono le risposte dei “grandi”, dai genitori agli amministratori locali? Quanto sanno i nostri ragazzi in materia di nuove droghe, di abuso e violenza sessuale, di attività predatoria di gruppo, di convivenza con il diverso, quello che arriva da lontano o che è di diverso orientamento sessuale? Quanto sanno i loro genitori e quanto riescono a parlare di questi argomenti con i loro figli?
Come vorrei che qualche personaggio del panorama politico locale si ponesse queste domande e cercasse delle risposte, non già dai vari capidipartimento, dai vicequestori, dalle figure apicali e spesso inamovibili negli anni, che reggono i fili della pubblica amministrazione, quanto invece nelle scuole, presso le comunità e gli istituti di accoglienza, presso l’istituto di pena minorile Ferrante Aporti ed ogni altro posto qualsiasi dove i ragazzi di Torino vivono, pensano e sperano.
Parlando di carcere minorile,perché a questo ci si riferisce, va detto che la presenza di italiani al suo interno rappresenta la netta minoranza, come è netta la minoranza di ragazze detenute. Questi’ultimo dato è il risultato di una reale e concreta minore inclinazione all’attività criminosa o illecita in genere del sesso femminile; mentre per quanto riguarda la popolazione straniera detenuta, il risultato di maggioranza è dato dal fatto che nell’applicazione delle “misure cautelari personali” per i minorenni (d.p.R. 448/88) ci sono principalmente tre gradi distinti: 1° le “Prescrizioni” con le quali il Giudice dice al ragazzo indagato, per esempio, che deve smettere di uscire la sera, o vieta di andare a vedere le partite di calcio, o di frequentare la “banda”, o impone di seguire un percorso con i servizi sociali sul territorio e via dicendo. Ovviamente questa soluzione implica la realtà che il minore sia identificato, abbia una famiglia al seguito, una casa, eccetera e, soprattutto, che sia alla sua prima esperienza delittuosa (rapine, furti aggravati, estorsioni); ma se è un minorenne clandestino in Italia, se non ha una famiglia, se è da solo in questa nostra parte di mondo? La 2^ gradualità della misura cautelare prevista consiste nella permanenza in casa e, anche in questo caso, ci si ritrova spesso a non poter applicare questa misura coercitiva, proprio per le caratteristiche della esistenza invita del minorenne indagato. L’ultima, la terza fattispecie di applicazione di misura cautelare, è quella della detenzione (massimo sei mesi) in regime di custodia cautelare in carcere. A questa situazione giungono italiani che hanno commesso crimini efferati, ovvero stranieri cosiddetti “non accompagnati”, che paiono dare spiraglio di aggancio per un percorso rieducativo agli osservatori del Tribunale per i minorenni (ci si riferisce al servizio sociale per i minorenni in sede, ai giudici onorari ed ai giudici togati). E’ quindi intuibile il perché la popolazione domiciliata presso il Ferrante Aporti sia in larga misura composta da stranieri.
Ma che “clima” c’è al’interno del carcere?
Un significativo aneddoto risalente ad un paio di anni fa consiste nella scelta di qualche “genio” della ristorazione collettiva interna all’istituto stesso, che una sera decise di far portare ai minorenni detenuti del formaggio. E che formaggio fu scelto? … dello stracchino? No! Dell’Asiago? No! Insomma, fu portato ai ragazzi del gorgonzola, che alcuni nordafricani vissero come formaggio deteriorato, data la nota formazione di muffe che contraddistingue il formaggio in questione, e cominciarono a gettarlo contro i muri del refettorio, con il risultato che si può ben immaginare. Si fanno attività, si insegnano anche dei mestieri che, talvolta, accompagnano anche per lungo tempo il percorso di recupero del ragazzo/uomo; ma il problema di fondo è che in una città che vuole essere centro delle celebrazioni del prossimo cento cinquantenario dell’Unità d’Italia, che vuole essere un esempio d’integrazione, eccetera, in Torino, l’istituto di pena minorile Ferrante Aporti dovrebbe essere vuoto!Ma è possibile investire nei giovani (che notoriamente non producono reddito, ne’ vanno a votare), senza “sprecare risorse”? In tutti gli incontri (moltissimi da quasi dieci anni a questa parte) che ho avuto con giovani torinesi e non, sia in sede d’interventi formativi presso le classi prime e seconde del secondo ciclo scolastico (più istituti professionali che licei), che in occasione degli interrogatori e delle audizioni presso gli uffici giudiziari minorili dove lavoro dal 1° maggio 2000, appunto, la sensazione più netta che ho avuto è stata quella di avere a che fare con “rinsecchite spugne viventi”, assetate di confronto e di sapere: ragazzi e ragazze che non sanno da cosa è composto l’hashisch, che comprano da un qualunque sconosciuto a porta palazzo o ai murazzi, ma che guardano il bugiardino del medicinale che mamma gli “propina” per il malessere in cui sono incappati. Altri che hanno concorso nell’intossicazione da sostanze psicotrope e poi nella successiva violenza sessuale di gruppo ai danni della loro compagna di classe, che tanto si vedeva che ci stava, da come era truccata e dalla minigonna che aveva…!
Ragazzi che riconoscono come valore solo il potere che deriva dal possesso di denaro, di “status simbol”, a prescindere se si deve passare da una rapina per ottenerli. Ragazzi che si sentono qualcuno non perchè vanno bene a scuola o primeggiano in qualche attività sportiva, ma perché appartengono alla temuta “band”, eccetera, in un abisso di disvalori che la società civile e democraticamente organizzata, spesso implicitamente ammette tra le sue devianze contemporanee…: in fondo i politici rubano, no? Tutti si arrangiano, quindi, che sono io? Il più fesso?
Andare bene a scuola oggi, per avere un domani contraddistinto da una buona occupazione, da una buona famiglia, agiata e prosperosa, per questi ragazzi miei ospiti, spesso sono drammaticamente solo fantasie da “la fattoria del mulino bianco”.
Ne 1999 l’allora Vicesindaco Domenico Carpanini e l’allora Comandante della polizia municipale di Torino,Vincenzo Manna, concordarono un protocollo con il Procuratore della Repubblica per i minorenni, che all’epoca era Graziana Calcagno, per l’istituzione di una SQUADRA MINORI, che fu istituita in seno alla polizia locale predetta con specifica Determina di Giunta Municipale (la n° 9905575/19 del 22 giugno 1999). Vi furono assegnati quattro sottufficiali del Corpo, che ebbero come compito prioritario quello di cercare per le strade di Torino, in orario di normale attività scolastica dell’obbligo, dei minorenni che, invece, venivano mandati agli incroci per lavare vetri delle macchine o per vendere paccottiglie varie. Fu un’attività silenziosa e metodica, che diede ottimi risultati; molti furono i ragazzi/bambini sottratti ad adulti, quasi sempre non i reali genitori, ignari in madre patria, che speculavano sulle loro giovani vite; ragazzi che vennero poi inseriti in progetti di recupero e di scolarizzazione, spesso con risultati assai positivi. Diversi furono gli adulti ad essere denunciati all’Autorità Giudiziaria ordinaria per il maltrattamento, per l’abbandono o per altri reati pesanti in danno di minorenni. L’organico iniziale fu implementato e si arrivò a sei operatori (Comunicazione n° 101 del 06/05/2003), ma, ad un certo punto (nel corso dell’anno 2007), gli addetti alla Squadra Minori vennero dapprima chiamati a svolgere il proprio servizio d’istituto presso il Comando di corso XI febbraio e non più presso la Procura per i minorenni, per poi sparire del tutto (assorbiti dal Nucleo operativo), senza che ne sia mai data ufficiale notizia e, soprattutto, senza che sia mai venuta meno la legittimità della determina predetta.
Questa è la dimostrazione di quanto sia l’interesse degli attuali vertici del Comando dei Vigili Urbani di Torino circa “il disagio minorile”.
Ma presso la Questura di Torino, quali sono le forze impegnate” quattro unità e che non hanno nemmeno solo compiti di sottrarre dal freddo e dall’inquinamento delle nostre strade i bimbi ed i ragazzini, che non hanno diritto alla salute, diritto alla vita. I Carabinieri e la Guardia di Finanza, proprio non prevedono unità lavorative specializzate in tal senso.
Tutto ciò alla faccia della CONVENZIONE INTERNAZIONALE DEI DIRITTI DEL FANCIULLO, firmata a New York il 20/11/1989 e recepita dallo Stato italiano l’anno successivo.
Ma i bambini, i giovani, sono o non sono il “futuro di tutti noi adulti”? Adulti che hanno anche responsabilità di gestione delle pubbliche risorse; adulti che possono e devono prendere delle decisioni.
Quanto sinora espresso non è che un piccolo esempio d’inadeguatezza dell’amministrazione locale. Ce ne sarebbero altri, sempre riferiti agli adolescenti, ma il rischio di prolissità è in agguato!
La proposta: rendere di nuovo operativa la determina de quo ante e, viepiù, fare in modo che ci sia il contributo di tutte le principali specialità di polizia (due carabinieri, due poliziotti,due finanzieri e due vigili, anche a livello di turn over biennale, come un aggiornamento professionale), che siano applicati alla sezione specializzata di polizia giudiziaria per i minorenni e che ricevano direttive dal pubblico ministero di riferimento per tutte quelle attività delegate o d’iniziativa, comunque volte alla salvaguardia della più serena crescita psicofisica dei minorenni del distretto giudiziario di Torino (Piemonte e Valle d’Aosta).

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